Se penso a Matteo, ancora non ho realizzato che da tre anni ricopre il ruolo di presidente nazionale dell’Azione Cattolica: per me, è rimasto semplicemente l’educatore del gruppo diocesano di cui faccio parte. Assieme a Francesca, infatti, trova ancora il tempo per l’appuntamento mensile con i giovani di AC di Parma, come se non bastasse tenere fede ai tanti impegni di cui è investito in qualità di presidente. Nonostante la fatica e i viaggi settimanali in giro per le diocesi d’Italia, una sera al mese ci ritroviamo e ci racconta dei tanti volti dell’Associazione. Ha modo di incontrare le realtà più diverse, eppure non si dimentica mai del “suo” gruppetto di ragazzi, ora diventati giovani adulti. Proprio in questo modo, Matteo ci ricorda che l’AC è davvero la sua strada “per camminare dentro la Chiesa”.
- Qual è il tuo primo ricordo legato all’Azione Cattolica?
Ricordo molto bene la prima esperienza di ac: il camposcuola acr a Campitello di Fassa, in seconda media. C’erano don Alfredo e don Mario, c’erano educatori straordinari, c’erano ragazzi e ragazze con cui da allora non ho smesso di essere amico. È stato però con la prima esperienza da educatore, qualche anno più tardi, al campo di Santa Fosca, che ho capito che l’AC era la mia strada per camminare dentro la Chiesa.
- Tre aggettivi per descrivere la nostra associazione
Appassionata, corresponsabile, sempreverde con i suoi 150 anni di vita!
- Tre ragioni per cui vale la pena aderire all’AC?
Perché fa bene alla nostra Chiesa, che ha bisogno di laici formati, generosi e responsabili; perché fa bene alla realtà sociale, culturale e politica nella quale viviamo, in cui essere associazione è il più importante anticorpo sano che possiamo introdurre per contrastare il virus della “tristezza individualista”; perché fa bene alle nostre vite, ci aiuta a vivere in profondità e pienezza ogni dimensione dell’esistenza.
- Il miglior pregio e il peggior difetto dell’Azione Cattolica?
Sembrerà strano, ma coincidono. In AC ci perdiamo a volte in discussioni infinite. In Ac sappiamo che perdersi in discussioni infinite non è solo un difetto, ma è anche il segno di un’autentica capacità di ascolto, di confronto, di condivisione delle scelte e delle responsabilità.
- Hai mente una persona che hai conosciuto in associazione e che ha dato un contributo significativo alla tua esperienza di fede?
Una? Ne ho in mente decine. E non è un modo di dire. Forse è proprio questo l’aspetto più importante dell’esperienza che insieme a Francesca abbiamo vissuto e viviamo in AC.
- Tra i “personaggi celebri” che hanno vissuto l’AC, ce n’è uno cui sei particolarmente affezionato?
Vittorio Bachelet, il Presidente nazionale che ha guidato l’AC a cambiare profondamente se stessa per farsi strumento di attuazione del Concilio. È un po’ quello che l’AC vorrebbe fare anche oggi, rinnovarsi e rilanciarsi per contribuire a dare concreta realtà al “sogno” di Chiesa che Papa Francesco ha disegnato nella Evangelii gaudium, che è poi la Chiesa del Concilio.
- Ti aspettavi di diventare presidente nazionale?
Decisamente no! Poi però tre anni fa, al termine dell’esperienza fatta nei nove anni precedenti come membro del Consiglio nazionale, Francesca ed io abbiamo accettato di fidarci di chi era convinto che avrei dovuto rendermi disponibile… Ed eccoci qui!
- Come sono stati i primi tre anni di presidenza? Che impressione hai avuto, sulla Chiesta italiana, girando le diocesi italiane?
È stata un’esperienza davvero straordinaria, bellissima, molto intensa, molto impegnativa. Ho incontrato una Chiesa fatta di persone generose, appassionate, che vogliono bene a questo tempo. Ho incontrato un’associazione molto varia, creativa, vitale. In alcune realtà ho anche visto, però, una Chiesa che a volte è forse troppo preoccupata, sfiduciata, può darsi anche un po’ disorientata dalla necessità di lasciarsi mettere in discussione per essere più adeguata alla propria missione evangelizzatrice.
- Qual è stato l’incontro più sorprendente di questi tre anni?
Sono tanti, ne cito due che porto nel cuore: la presidente dell’AC di Lampedusa, una signora anziana e minuta, che con una straordinaria energia e mitezza si spende, insieme a tutta l’associazione parrocchiale, per accogliere chi fugge dalla morte. E poi alcune donne dell’AC di Castellamare di Stabbia, che hanno creato nei locali della parrocchia la “Casa di Zaccheo”, un’associazione che presta denaro senza interessi, per combattere la piaga dell’usura.
- Cosa ti senti di dire all’Azione Cattolica di Parma? E ai giovani?
Innanzitutto grazie, per tutto quello che mi ha donato. E poi mi sentirei di chiederle, come a tutte le associazioni diocesane, soprattutto del Nord, di fare uno sforzo di creatività per capire attraverso quali strade prendersi cura della vita delle persone e delle famiglie. Anche ai giovani dell’AC di Parma dico innanzitutto grazie, per il cammino che in questi anni Francesca ed io abbiamo condiviso con molti di loro. E poi vorrei ripetere loro quello che Papa Francesco ha scritto nell’Evangelii gaudium, quando spiega che ciascun battezzato è sempre al contempo discepolo e missionario: “se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni”.